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Gendering e traduzione
13.04.2015 17:36 (738 x gelesen)

Il fenomeno di un linguaggio politicamente corretto concerne non solo la vita diplomatica, ma è anche una questione che dev’essere affrontata nell’ambito delle lingue. Nei paesi di lingua tedesca la presenza di un linguaggio neutrale dal punto di vista del genere nella vita quotidiana costituisce molto più di un mero trend, di fatto la sua applicazione è obbligatoria nei testi legali e ufficiali.

Innanzitutto, però, occorre definire il termine del “politicamente corretto”. In senso ampio, un comportamento politically correct pone estrema attenzione al rispetto generale nei confronti di determinate categorie di persone. Come ad esempio, in molti paesi dell’occidente si cercano di garantire le pari opportunità per donne e uomini sul mercato del lavoro, anche se gli stipendi in gran parte ancora non sono allineati. Quello che però si è riuscito a tradurre in realtà (sto parlando dei paesi di lingua tedesca) sono le pari opportunità che si rispecchiano in un linguaggio neutro, allontanandosi dall’esclusivo uso di termini maschili. In questo modo, per esempio, la categoria professionale dei “traduttori” (includendo anche donne) diventa politicamente corretto quella dei “traduttori e traduttrici”. Femministi e femministe radicali la denominerebbero volentieri solo “traduttrici”, prendendo come criterio la quota di donne e uomini che appartengono a questa categoria professionale. In tal maniera, però, si creerebbe una discriminazione inversa, cioè contro gli uomini, e quindi altrettanto sbagliata.

Probabilmente, a questo punto, c’è chi si sta chiedendo, che cosa ha a che fare il gendering con il nostro lavoro di traduttori/traduttrici. Per illustrare meglio quali problemi potrebbero sorgere in quest’ambito, adduciamo ad esempio un testo originale in arabo (partiamo dal presupposto che non corrisponda alle esigenze di un linguaggio neutro) che dev’essere tradotto in tedesco per un target audience che è ormai abituato a un linguaggio che valorizza l’identità del genere. Tutti noi, traduttrici e traduttori qualificate/i, sappiamo benissimo che non possiamo non prendere in considerazione l’aspetto culturale nelle traduzioni. Però ci si pone la domanda: in che misura può manipolare il traduttore/la traduttrice il testo per adeguarlo al pubblico d’arrivo? Ha il diritto di servirsi di un linguaggio neutro nel testo d’arrivo, anche se nel testo di partenza non è stato adottato, rischiando così di modificare il messaggio?  Oppure dovrebbe tradurlo in modo più fedele e correndo il pericolo che venga respinto dal pubblico?

Non spetta a me dare una soluzione generalmente valida, in quanto non ne esiste soltanto una (cfr. Venuti, Spivak, von Flotow). Ma vorrei che questo tema fosse un oggetto di riflessione e che vi incentivasse ad esprimere la vostra opinione su questo argomento. 


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